PROCIDA: radici e cultura
Le origini del nome dell’isola giacciono sin dall’alba dei tempi: i greci la chiamano, forse, Προχύτη, letteralmente “scagliata su” dal fondo del mare, oppure scagliata in mare durante la lotta di Zeus con i Giganti. Secondo un’altra ipotesi deriva da Prima Cyme, ovvero “prossima a Cuma”, come doveva apparire l’isola ai coloni greci nella migrazione dall’isola d’Ischia a Cuma, e come suggerito dall’abate Marcello Scotti, filosofo nato proprio sull’isola nel XVIII sec., che suggerisce questa ricostruzione aggiungendo che per “Cuma” si dovrebbe intendere non la città, ma la “cima“, quella di Capo Miseno; il nome in questo caso potrebbe derivare dall’aramaico o dall’ebraico, dove in entrambi i casi “kym” significa cima. Un’altra ipotesi ancora fa derivare il nome dal greco pròkeitai (πρόκειται), cioè “giace”, in considerazione di come appare l’isola, vista dal mare. Secondo un’altra ipotesi ancora, invece, tale nome deriverebbe dal verbo greco prochyo, in latino profundo: l’isola sarebbe stata infatti profusa, messa fuori, sollevata dal fondo del mare o dalle profondità della Terra. Dai latini invece sappiamo che il nome deriva dal termine Prochyta / ae – Prochyte / es. Dionigi di Alicarnasso , nella sua Archeologia Romana, fece derivare il nome, come poi farà Virgilio nell’Eneide, da quello di una nutrice di Enea, che morì durante il viaggio dell’eroe verso Roma e fu sepolta proprio sulle spiagge dell’isola, anche se Plinio ribatte tale origine: Prochyta, non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa ab Aenaria est. Come si vede l’isola, fin dai tempi antichi, non è mai stata ignorata dalla letteratura .
Le radici dell’isola di Procida si radicano sin dall’alba dei tempi: secondo il mito greco qui avvenne la lotta tra i giganti e gli dei, la cosiddetta Gigantomachia, con la sconfitta dei primi e di conseguenza Tifeo e Alcioneo finirono rispettivamente sotto Ischia ed il Vesuvio, mentre Mimante fu posto sotto l’isola di Procida. L’archeologia ci dice che l’isola fu la prima ad essere abitata tra quelle del golfo di Napoli, in particolar modo è l’isolotto di Vivara a restituirci i resti di un primo insediamento commerciale di origine Micenea databile tra il XVI e XV sec. a.C. che la scelsero come sede per la fabbricazione dei metalli. Successivamente, secondo testimonianze attendibili, Procida fu occupata da coloni Calcidesi, provenienti dall’isola di Eubea; in seguito l’isola fu abitata dai Greci di Cuma e poi dai romani (di cui si trovano resti di epoca pre-imperiale sotto la chiesa di San Michele che testimoniano il culto a Nettuno Agricoltore) che la scelsero come sede dove trascorrere momenti di tranquillità lontani dalla caotica e movimentata Roma, nonostante il poeta Giovenale nella satira terza la descriva, in termini non poco piacevoli, come luogo ideale per un soggiorno tranquillo, isolato e raccolto ( in quanto la natura vulcanica mal si prestava alla grandiosità costruttiva dell’architettura romana). Il crollo dell’impero romano espone l’isola agli attacchi dei Goti e dei Vandali; Napoli diventa un potentato indipendente da Bisanzio ed annette tra i suoi possedimenti anche Procida. Con l’ arrivo dell’anno 1000 e la dissoluzione dei possedimenti bizantini del sud Italia si susseguiranno al potere del Regno di Napoli diverse dinastie al potere: Normanni, Svevi Aragonesi, Spagnoli, austriaci e Borbone. Prima di addentrarci in questo discorso ricordiamo che nel periodo medievale Procida fu devastata e razziata dai pirati saraceni , in particolar modo ricordiamo l’incursione capitanata dal pirata Khayr al-Din, detto Il Barbarossa nel 1534. Gli abitanti cercarono un riparo sicuro dagli attacchi degli stranieri sul promontorio fortificato della Terra Murata, precedentemente chiamata Terra Casata dove si raccoglievano le case dei procidani per difendersi dalle incursioni: ad una di esse è legata la leggenda di San Michele Arcangelo, oggi patrono dell’isola, che difese i procidani scacciando gli invasori. La storia di Procida, come già detto, risulta imprescindibilmente legata con quella del Regno di Napoli soprattutto per quel che riguarda le dinastie che si susseguono al potere: la conquista normanna del meridione comporta il passaggio dell’isola a dominio feudale che con il Monte di Procida (ex Monte di Miseno) fu dato alla famiglia dei Da Procida di cui il maggior esponente fu sicuramente Giovanni Da Procida, consigliere ed amico di Federico II di Svevia e animatore della rivolta dei Vespri Siciliani. Altre famiglie importanti che hanno legato il loro nome all’isole sono quelle dei Cossa o Cosso, ai quali fu venduto anche il feudo di Ischia dall’ultimo degli eredi dei Da Procida, e dei Capuana. Il tentativo francese di impossessarsi del regno di Napoli porta alla famiglia Cossa o Cosso di parteggiare per i nuovi signori; l’esercito transalpino, Carlo V confisca l’isola e la cede in dono ai D’Avalos D’Aquino D’Aragona che la conserveranno fino al 1735. Sotto questa grande famiglia l’isola progredisce economicamente e culturalmente (verrà realizzato il celeberrimo Palazzo d’Avalos a Terra Murata).
Tra il 1600-1700 l’isola vi è un incremento demografico e geografico della zona agricola che porta alla realizzazione di nuovi terrazzamenti agricoli. Nel 1734 Carlo di Borbone sottrae Procida ai D’Avalos (fedeli agli Austriaci) facendone terra propria (assieme a Vivara diventa riserva di caccia danneggiando nettamente l’agricoltura) e solo successivamente diverrà città demaniale sotto Ferdinando IV che costruirà un ospedale ed un Monte di Poveri. Pochi anni dopo esser diventata città reale la partecipazione ai moti rivoluzionari del 1799 sovvertiranno l’ordine creatosi a partire dall’arrivo di Carlo III. Lo sforzo dei rivoluzionari di cacciare i Borbone porterà al famoso episodio della repressione dei rivoltosi ed all’uccisione di 16 procidani (tra cui un curato e due sacerdoti) in piazza S. Maria delle Grazie, oggi Piazza dei Martiri.
Nel XIX secolo Palazzo d’Avalos smette di essere residenza reale e diventa una caserma: dapprima scuola militare, poi destinata ai veterani; per tale motivo, nel 1825 Francesco I risiede a Procida presso Palazzo Montefusco a Marina Grande. Nel 1830 il palazzo diverrà bagno penale per poi esser trasformato in carcere nel 1848. Nel 1861 con l’unificazione dell’Italia vi è lo scarceramento dei patrioti, la fuga dei Borbone, la realizzazione di un nuovo cantiere navale, della scuola Nautica per giovani marinai ed ufficiali. Il XX secolo vede la crisi irreversibile della cantieristica procidana, sotto la concorrenza dei grandi agglomerati industriali: l’ultimo grande brigantino procidano viene varato nel 1891. Nel 1907 inoltre, Procida, a seguito di un referendum, perde il suo territorio di terraferma, che diventa un comune autonomo denominato Monte di Procida. Nel 1957 l’isola viene raggiunta dal primo acquedotto sottomarino d’Europa, mentre negli ultimi decenni, la popolazione, fino agli anni trenta decrescente, comincia lentamente a risalire. L’economia rimane in gran parte legata alla marineria accanto alla crescita, negli ultimi anni, dell’industria turistica. Il 18 gennaio del 2021 Procida è stata nominata Capitale italiana della cultura per il 2022, con il programma “L’isola che non isola”. È la prima volta, da quando è stata istituita la competizione nel 2014, che si candida e vince un’isola che esprime attraverso le sue dinamiche geografiche, storiche, umane, il marchio di fabbrica per il concetto di cultura le cui risorse, altrettanto preziose, impreziosiscono un luogo che seppur ai margini per un anno rappresenterà il centro d’Europa.